Con sentenza n. 2912 del 3.11.2016, il Tribunale di Milano ha “esteso” la reintegrazione anche all’ipotesi del patto di prova nullo per mancata formalizzazione, equiparando il vizio di forma all’insussistenza del fatto materiale posto alla base del licenziamento disciplinare (ossia, considerando il recesso per mancato superamento della prova alla stregua di un licenziamento disciplinare). La mancanza della forma scritta non è stata considerata una causa di nullità del patto di prova in quanto la forma scritta è richiesta ad probationem e non ad substantiam.
Recita la massima (redazionale) della sentenza citata:
“L’invalidità del patto di prova per carenza di forma scritta comporta l’ingiustificatezza del licenziamento ex art. 1, L. 604/1966, perché fondato su ragione inesistente. Dall’accertata inesistenza di motivazione del recesso intimato consegue la insussistenza del fatto materiale contestato e da ciò discende, ex art. 3, comma 2, D.lgs. 23/2015, la condanna del datore a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e a corrispondere l’indennità risarcitoria”.Alla decisione di cui sopra se ne contrappone però un’altra, sempre del Tribunale di Milano (sentenza 8 aprile 2017), in cui si afferma che “in presenza di patto di prova nullo, il recesso motivato con riferimento al mancato superamento della prova è da ritenere (meramente) ingiustificato, perché intimato fuori dall’area della libera recedibilità, trovando, quindi, applicazione la disposizione di cui all’art. 3, co. 1, D.Lgs. 23/2015, che disciplina le ipotesi di licenziamento intimato in assenza di giusta causa o giustificato motivo oggettivo o soggettivo“.
In base a quest’ultima pronuncia, ove non ricorrano gli estremi del licenziamento per giustificato motivo (oggettivo o soggettivo) o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto alla data del licenziamento e condanna il datore a pagare un’indennità non assoggettata a contribuzione, parametrata sulla base di dimensioni aziendali e anzianità di servizio del lavoratore.
Per completezza, si precisa che tranne pochissime eccezioni (licenziamento discriminatorio, orale e nullo nonché in caso di insussistenza del fatto materiale nel licenziamento disciplinare), in caso di illegittimità del licenziamento non è più prevista la reintegrazione nel posto di lavoro, potendosi far luogo unicamente al risarcimento del danno in favore del lavoratore, mediante un’indennità quantificata, in misura progressiva, con riferimento all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (2 mensilità per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità, la metà, con un massimo di 6 mensilità, nelle aziende fino a quindici dipendenti nell’unità produttiva o nello stesso comune o fino di cinque se imprenditore agricolo o in ogni caso fino a sessanta su base nazionale).
Si aggiunga ancora che nel caso di licenziamento discriminatorio o nullo la reintegrazione si applica sempre, a prescindere dalle dimensioni aziendali, mentre nel caso di licenziamento disciplinare illegittimo per insussistenza del fatto la reintegrazione si applica solo nelle aziende soggette all’art. 18.
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