Una recentissima sentenza delle Sezioni Unite della Cassaizone (30985/2017) ha fatto chiarezza sulle conseguenze di un licenziamento disciplinare dichiarato illegittimo per la tardività della contestazione. La questione riguarda i licenziamenti per i quali è applicabile l’art. 18 della legge 300/1970 .La vicenda è stata devoluta alle sezioni unite in quanto erano emersi due orientamenti assolutamente discordanti: per un primo orientamento il vizio della tardiva contestazione disciplinare non ha carattere sostanziale per cui si deve applicare soltanto la tutela indennitaria mentre per un secondo orientamento l’immediatezza della contestazione (sia pure temperata dal tempo occorrente per i necessari accertamenti) è parte integrante della motivazione del recesso, di talché la sua mancanza comporta l’insussistenza del motivo fondante il recesso e l’applicazione della tutela reintegratoria.
Le sezioni unite propendono per il primo orientamento: il licenziamento disciplinare che viene dichiarato illegittimo per tardività della contestazione deve essere sanzionato con il riconoscimento in favore del dipendente di un’indennità risarcitoria di importo compreso tra 12 e 24 mensilità della retribuzione globale di fatto (tutela indennitaria “forte” per distinguerla dalla tutela “debole” prevista per i vizi formali e che prevede un risarcimento da 6 a 12 mensilità); non spetta, invece, la reintegrazione sul posto di lavoro.
Le sezioni unite ricostruiscono le diverse tutele previste dall’art. 18, ossia la tutela reintegratoria piena (primi 3 commi, in casi di licenziamento discriminatorio, per causa di matrimonio, della lavoratrice madre durante il periodo di divieto o in altri casi di nullità previsti dall’ordinamento o per motivo illecito determinante), la tutela reintegratoria attenuata (comma 4, quando non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo o della giusta causa, per insussitenza del fatto o perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa), tutela risarcitoria forte (comma 5, nelle ipotesi diverse dalle precendenti in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo o della giusta causa) e la tutela risarcitoria debole (comma 6, per difetto di motivazione, salvo che ricorrano i presupposti di cui alla tutela forte o per violazioni della procedura prevista dall’art. 7 della legge 604/1966).
I giudici affermano nella motivazione che l’articolo 18 non include mai la contestazione tardiva tra i vizi che comportano la reintegrazione sul posto di lavoro, che sia la versione “forte” prevista dal comma 1 (reintegra più risarcimento illimitato) oppure quella “attenuata” prevista dal comma 4 (reintegra più risarcimento limitato a un massimo di 12 mensilità). La Corte rileva, infatti, che il fatto contestato tardivamente comunque è stato commesso e, come tale, non può considerarsi materialmente inesistente.
Dopo avere chiarito la natura della tutela offerta al lavoratore, i giudici si soffermano su quale tutela risarcitoria riconoscere (forte o debole) e propendono per quella forte (da 12 a 24 mensilità) in quanto la tardività della contestazione non si connota solo come un vizio procedurale ma – essendo idonea a impedire o limitare l’esercizio del diritto di difesa del lavoratore – attiene la fondatezza o meno delle motivazioni addotte.