La clausola di opzione apposta ad un patto di non concorrenza che preveda il diritto del datore di lavoro di decidere se avvalersi, o meno, delle condizioni relative al patto medesimo, deve considerarsi nulla in assenza di un effettivo corrispettivo a vantaggio del lavoratore.
In questi termini si è pronunciata la corte di Cassazione (sent. 3/2018) che ha ritenuto illegittima la clausola di opzione che conceda al datore di lavoro la facoltà di decidere, anche dopo un certo lasso di tempo dalla cessazione del rapporto di lavoro, se vincolare o meno il lavoratore con un patto di non concorrenza, rinviando al momento dell’esercizio di tale opzione la corresponsione di un corrispettivo per tale limitazione imposta al lavoratore.
Infatti, la previsione del pagamento del corrispettivo a favore del lavoratore solo in caso di esercizio della clausola di opzione realizza una illecita sperequazione tra la posizione del lavoratore e quella del datore di lavoro, posto che solo il primo si vincola fin dall’inizio alle limitazioni che derivano dal patto di non concorrenza in termini di sviluppo di nuove e diverse opportunità professionali, senza che il datore sia tenuto a sopportare un costo certo in termini di (debenza) del corrispettivo. In altre parole, la clausola di opzione accedente al patto di non concorrenza, in mancanza di un corrispettivo certo per il lavoratore, ha un intrinseco intento fraudolento, in quanto vincola il dipendente all’adempimento delle relative obbligazioni fin dalla data di assunzione, mentre il datore resta libero di non aderire al patto di non concorrenza e, quindi, dall’obbligo di pagare un compenso.