Quando nell’ambito aziendale, i superiori gerarchici impongono ai lavoratori subordinati condotte spregiudicate e contrarie alle direttive aziendali, un lavoratore non può essere licenziato per giusta causa motivata dalla violazione delle direttive aziendali o dalla violazione del vincolo fiduciario.
Nel caso di specie, esaminato dalla Corte di Cassazione (sentenza 23878/2018) ai venditori venivano imposte dai propri responsabili modalità di vendita scorrette e ciò al fine di spingere i primi a concludere un maggior numero di contratti, in spregio alle direttive aziendali. In questo contesto, è illegittimo il licenziamento per giusta causa di un venditore che, conformandosi a tale prassi, abbia utilizzato pratiche commerciali irregolari in quanto “appare difficilmente configurabile la lesione dell’elemento fiduciario e la stessa ipotizzabilità del grave inadempimento soggettivo da parte del dipendente per essersi questo attenuto a specifiche direttive e pressioni dei superiori in un sistema lavorativo talmente pervaso da tali pratiche irregolari da rendere difficilmente immaginabile per il lavoratore, anche in considerazione del ruolo rivestito, la possibilità di rifiutare di adeguarvisi ...”
In sostanza, la Corte ritiene che il disvalore della condotta del lavoratore sia attenuato e addirittura escluso quando la condotta imputata allo stesso sia stata sostanzialmente imposta dai superiori; in particolare, la “sanzione espulsiva la quale poneva sullo stesso piano la condotta del Direttore dell’Area vendite, quella dell’Area manager e quella del singolo venditore, anello piu’ debole dell’intera catena gerarchica, appariva non proporzionata non potendo, peraltro, neppure ravvisarsi un’ipotesi di giustificato motivo soggettivo in considerazione della prassi utilizzata dalla forza vendita nel suo complesso, delle concrete modalita’ di svolgimento dei fatti, della limitatezza degli episodi addebitati, della correttezza professionale dimostrata dal dipendente che fin dall’inizio aveva riferito esattamente come si erano svolti i fatti“.
Il datore di lavoro non può licenziare il lavoratore (“anello debole della catena gerarchica”) dopo avere tollerato la sistematica violazione delle proprie direttive operata dai superiori gerarchici del lavoratore, il quale si è semplicemente adeguato alle direttive ricevute, senza potersi rifiutare.