I licenziamenti collettivi per riduzione del personale sono disciplinati dalla L. 23.7.1991, n. 223.
Tale fattispecie può trovare applicazione purché ricorrano i seguenti presupposti (art 24, co. 2, L. 223/1991):
- deve trattarsi di un’impresa che occupa più di 15 dipendenti;
- si intendano effettuare almeno 5 licenziamenti, nell’arco di 120 giorni;
- ciò avvenga nell’ambito della medesima unità produttiva o in più unità produttive nell’ambito del territorio della stessa provincia;
- detti licenziamenti siano conseguenza della medesima riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, ovvero della sua completa cessazione dell’attività
La procedura. Nello specifico quando il datore di lavoro intende procedere a licenziamenti collettivi deve preliminarmente darne comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali (RSA o RSU), nonché alle rispettive associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale (art 4, co. 2. L. 223/1991).
La comunicazione – in forma scritta a pena di inefficacia – deve indicare:
- i motivi che determinano la situazione di eccedenza del personale;
- i motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter evitare i licenziamenti;
- il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedente nonché del personale abitualmente impiegato;
- i tempi di attuazione del programma di riduzione del personale;
- le eventuali misure per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale;
- il metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva.
La comunicazione di apertura della procedura di licenziamento collettivo ha il fine di consentire alle organizzazioni sindacali di esercitare un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale e di ricercare eventuali misure meno drastiche rispetto ai provvedimenti espulsivi.
Dalle finalità si evince che il datore di lavoro che procede a un licenziamento collettivo in base alla legge 223/1991, ai fini di evitare di incorrere in palesi irregolarità che travolgano il procedimento e, con ciò, la legittimità dell’intera operazione, deve motivare in maniera veritiera le esigenze che rendono necessaria la riduzione di personale e rappresentare un quadro il più possibile fedele della situazione economica aziendale.
Proprio in considerazione della rilevanza che le motivazioni poste alla base dei licenziamenti collettivi hanno ai fini del corretto intervento delle RSA (o RSU) e delle associazioni di categoria, una recente sentenza (si veda Corte di Appello di Trento, Sentenza n. 60/2018), ha dato un’interpretazione tendenzialmente attenuata del principio di insindacabilità delle motivazioni in sede giurisdizionale.
L’impugnazione. Il lavoratore al quale è stato comunicato il recesso, a seguito della procedura di licenziamento collettivo, può contestarne la legittimità per vizio di forma scritta, violazione della procedura o violazione dei criteri di scelta.
Il criterio generale.Generalmente, il giudice, chiamato a decidere sulla legittimità dell’operazione, deve limitarsi esclusivamente ad una valutazione circa la correttezza della procedura, senza la possibilità di spingersi ad un sindacato di merito circa la bontà dei motivi addotti a giustificazione dei licenziamenti. Ciò anche in considerazione della scelta compiuta dal legislatore di attribuire alle organizzazioni sindacali il ruolo di operare una simile valutazione (articolo 4, comma 3, legge 223/1991).
Eccezioni in caso di quadro non veritiero presentato dal datore di lavoro.La sentenza dell’11 ottobre 2018 pronunciata dalla Corte d’Appello di Trento ha fornito spunti interessanti in materia, preferendo un’interpretazione più attenuata del principio di insindacabilità in sede giurisdizionale.
In caso di palese difformità e non veridicità dei dati offerti dal datore di lavoro in comunicazione e asseritamente legittimanti i licenziamenti si assiste ad una riespansione del controllo giudiziale che quindi investe tanto la legittimità quanto il merito.
La ratio di una simile scelta si ritrova nella gravità di tale irregolarità che intacca la stessa funzione sindacale attribuita dalla legge 223/1991. Nel caso specifico, è stato ritenuto che il giudice può sindacare il merito dei motivi se sia accertata una “totale (e voluta) elusione dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali” posto che, venendo meno la veridicità delle informazioni sullo “stato di salute” dell’impresa, verrebbe contestualmente meno anche uno dei presupposti fattuali della procedura di riduzione, ossia “la conoscenza da parte delle organizzazioni sindacali delle circostanze rilevanti per la valutazione, la trattativa, le proposte alternative ai licenziamenti” (Corte d’appello di Trento, sentenza dell’11 ottobre 2018).
In un’ottica di massima tutela del lavoratore, il Giudice trentino ha previsto, quale regime sanzionatorio di tale irregolarità, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.